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Le castagne nell'alimentazione del passato
Persone che raccolgono le castagne

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Nelle vallate cuneesi il castagno, per secoli, ha sfamato con i suoi frutti generazioni di montanari ed ha costituito la base alimentare delle popolazioni rurali che in esse trovavano rimedio a carestia e povertà. Il suo legname ha riscaldato i casolari, ha fornito tannino, lettiera e fogliame per il bestiame, materia prima per costruzioni, paleria ed attrezzi di uso quotidiano.
Fornitore di un alimento di primaria importanza, divenne nei secoli "albero del pane" e si affermò nelle zone a maggiore pressione demografica ben oltre il suo areale di distribuzione, dove vegetava e fruttificava solo grazie ad assidue cure. Le castagne hanno rappresentato - a mano a mano che la coltura si estendeva - una possibile alternativa ai cereali, come cibo a destinazione prevalentemente popolare, in virtù della facile reperibilità e conservabilità. Più tardi, il basso prezzo e l'alto valore alimentare hanno valso al frutto il nome di "pane dei poveri" perchè apportava alle popolazioni meno abbienti energia e proteine. Nella lotta quotidiana per l'esistenza i poveri avevano imparato ad utilizzare le castagne nei più svariati modi. Si sopperiva così, anche se a mala pena, alle esigenze nutrizionali e si riusciva ad alleviare la fame.
Nei tempi passati in molte delle vallate alpine, e non solo nel cuneese, la dieta di base era costituita da castagne per almeno 4 - 6 mesi all'anno e, secondo Merz (1919), il consumo pro capite si aggirava sui 150 kg/anno. In un'economia autarchica spesso i castanicoltori impiantavano differenti varietà per garantirsi frutti per i vari impieghi (essicazione, farine, consumo fresco) (Conedera, 1996). Tutto ciò che la natura metteva a disposizione veniva trasformat, con finalità altamente utilitaristiche, in piatti inusuali, base di una cucina di sussistenza. Stimolando la fantasia sono stati inventati svariati modi di cucinare le castagne: arrostite o bollite in acqua o latte, sostituivano, specialmente in montagna, il pane; calde si consumavano con latte o vino come minestra; macinate, costituivano sfarinati da impiegare come succedanei delle più costose farine di cereali nella preparazione di polenta, puree, focacce, castagnacci, zuppe.